Comprendere il Vero Valore dei Green Media

Lori Goode, Chief Marketing Officer
Brian O'Kelley, Co-founder and CEO, Scope3
La creazione di un ecosistema programmatico sostenibile, efficiente ed etico inizia con il taglio degli sprechi, la riduzione degli step superflui nella supply chain e l'investimento nei green media. Brian O'Kelley, Co-founder e CEO di Scope3, siede con Lori Goode, CMO di Index Exchange, per discutere i passi che le aziende del settore possono compiere oggi per accelerare i loro sforzi di sostenibilità e imprimere un cambiamento sistemico. Scopri di più su come Scope3 può aiutare la tua azienda a comprendere i dati sulle emissioni di carbonio e ad accelerare il percorso verso un futuro a basse emissioni di carbonio.

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Trascrizione video

Lori Goode: La sostenibilità è una delle sfide più urgenti che il settore pubblicitario deve affrontare oggi. Abbiamo tutti la responsabilità, sia a livello personale che aziendale, di contrastare il cambiamento climatico. Ciao, sono Lori Goode, Chief Marketing Officer di Index Exchange, e sono qui con Brian O’Kelley, Co-founder e CEO di Scope3. Oggi discuteremo di come le aziende possano accelerare i loro sforzi per la sostenibilità in modo etico ed efficiente. Brian, grazie per essere qui.

Brian O’Kelley: Grazie a te per l’invito.

LG: Ci troviamo a un punto di svolta interessante nella tecnologia pubblicitaria, tra consolidamento, IA, cookie, pressione per la sostenibilità, come ti sembra la situazione attuale?

BO: Beh, credo che siamo nella quarta fase dell’evoluzione della pubblicità digitale, no? A partire dagli anni Novanta, abbiamo avuto network pubblicitari, ad exchange, real-time bidding, e poi altro ancora. Ora penso che siamo all’inizio di una nuova fase, e sicuramente ci troviamo alla fine della precedente. È difficile prevedere cosa ci aspetti. Non penso che nessuno sappia esattamente cosa verrà dopo con la prossima generazione di IA e quello che potremo fare con la tecnologia, ora che il potere del linguaggio è così a portata di mano. Forse tutto quello che sappiamo dell’internet cambierà.

Di certo la pubblicità risponde a questi cambiamenti, ma non li guida direttamente, quindi stiamo aspettando di vedere cosa accadrà. Penso che aziende, imprenditori e investitori si chiedano tutti: “E adesso? Lasciateci fare, realizziamo qualcosa di importante”.

LG: Il tema della sostenibilità è davvero esploso nel nostro settore negli ultimi anni, raggiungendo un momento critico recentemente a Cannes. Come possono le aziende concentrarsi sul costruire un business etico, efficiente e sostenibile?

BO: Credo che questi tre concetti siano in realtà legati: “etico”, “efficiente” e “sostenibile” fanno parte della stessa conversazione. Per me, lo spreco è il primo tema da affrontare quando si parla di sostenibilità. Come consumatore, non voglio sprecare una marea di bottiglie d’acqua di plastica. Se non lo faccio, risparmio denaro. Ho calcolato quanto risparmio evitando di acquistare una nuova bottiglia d’acqua ogni volta che vado in aeroporto, e sono decine di dollari all’anno, non è una cifra da poco. E si accumula. Se pensiamo a tutte le inefficienze del programmatic advertising, ciascun passaggio che una pubblicità fa tra publisher e inserzionista consuma energia e aggiunge costi.

Più riusciamo a rendere efficiente la pubblicità digitale, più la rendiamo sostenibile. E più avviciniamo inserzionisti e produttori di contenuti, più è facile garantire trasparenza su questioni etiche. Più passaggi ci sono, maggiori sono le probabilità che ci sia una discrepanza tra dove l’inserzionista pensa che finiranno i suoi annunci e cosa sta effettivamente pagando. Gli incentivi non sono ben allineati quando ci sono supply chain lunghe e complesse. Più riusciamo a semplificarle, più diventiamo efficienti e sostenibili come ecosistema.

LG: Noto dunque due aspetti qui: uno è legato all’efficienza dei processi del programmatic advertising, l’altro riguarda i green media. Li affronteremo separatamente. Che visione hai della sostenibilità nei green media? Potresti fare alcune considerazioni per chi investe in questo tipo di programmi?

BO: L’idea dei Green Media Products è nata l’anno scorso mentre esploravamo come un ad exchange o una SSP potessero selezionare i media più sostenibili così che quando un buyer acquista un PMP o un deal ID, sa di ottenere solo media sostenibili (contenuto in inglese). Abbiamo iniziato con idee piuttosto semplici, come evitare di acquistare inventory “made-for-advertising” e non acquistare siti che collaborano con migliaia di partner programmatici. E da lì abbiamo sviluppato ulteriormente il concetto. L’idea che il modo più efficiente per acquistare sia tramite “Green Media Product” è un’idea semplice da comprendere. Inserzionisti e agenzie hanno risposto positivamente, dicendo: “Perché dovremmo scegliere qualcos’altro?”

Questo potrebbe davvero spingere il settore a passare da un acquisto sostenibile occasionale a un modello standard. Partner come Index Exchange si sono distinti per l’impegno a portare avanti il progetto su tutta la linea e a rendere efficiente, sostenibile e vantaggioso per gli inserzionisti ogni aspetto della loro piattaforma. Mi piacerebbe molto se un giorno parlare di Green Media Products diventasse superfluo perché significherebbe che ormai sono la norma. Ovviamente, siamo ancora lontani, ma è lì che dobbiamo arrivare: un modello dove ecologico, sostenibile, efficiente ed etico siano la norma. E da lì possiamo lasciarci andare con la creatività e fare cose innovative, che oggi sono impossibili perché siamo intrappolati in una marea di “zavorre”, ovvero tutto ciò che ostacola il lavoro.

LG: Una sfida importante, di cui sentiamo spesso parlare, è quella di concordare uno standard per misurare le emissioni. È un punto critico. Domanda semplice: qual è l’impronta di carbonio di una singola impression?

BO: Parliamo un po’ degli standard prima. Gli standard, come li intendo io, sono specifiche molto precise per eseguire un’attività. Per esempio, esiste uno standard per misurare la visibilità di un’impression o per garantire l’accreditamento di un ad server. Sono documenti complessi che specificano i passaggi da seguire per fare una misurazione accurata. Ma per le emissioni, non siamo ancora a quel livello. C’è ancora molto lavoro da fare prima di definire uno standard. Prima degli standard vengono i quadri di riferimento, ossia i principi di base su cui possiamo tutti concordare.

Abbiamo tutti alcune domande fondamentali su quali siano questi principi di base. Per esempio, parliamo di privacy, perché è un caso interessante: qui il problema non è mai stato il come fare. Sappiamo già come fare le cose. La vera domanda è: qual è la cosa giusta da fare? Qual è il quadro normativo? La privacy è un diritto umano o lo è la sicurezza? Sussiste quindi un conflitto, una certa tensione. Nel mondo della sostenibilità non abbiamo questa tensione. Sappiamo che bruciare 100 grammi di carbone genera 200 grammi di CO2. Questo è un calcolo facile. Se un data center è alimentato a carbone, possiamo fare il calcolo: se usa questa quantità di energia, produrrà questa quantità di carbonio. Tutto si riconduce a questi principi di base, che chiamiamo “fattori di emissione”. Se fai questo, emetti quella quantità di carbonio.

La difficoltà sta nell’allocare le risorse, nel capire, ad esempio, quanti dei miei server sono stati effettivamente usati per servire quell’annuncio rispetto a quanti sono stati usati per il reporting. E se ho un partner? O un partner contestuale o per la sicurezza del brand? Ecco che si formano supply chain molto complesse. Secondo me, la sfida non è tanto nello standard, quanto nell’enorme complessità che comporta l’erogazione di un singolo annuncio digitale a una persona.

Dunque, rispondendo alla tua domanda, l’impronta di carbonio di un’impression pubblicitaria include tutta l’energia usata e tutti i server necessari per consegnare quella impression, oltre alle emissioni legate alla produzione di quei server, alla costruzione dei data center, e una piccola frazione delle emissioni derivanti da viaggi, spazi di lavoro e attività di tutte le aziende coinvolte. Se raccogliessimo tutte queste informazioni e le dividessimo per miliardi di impression, otterremmo l’impronta di carbonio di una singola impression.

LG: È decisamente complicato. Come possiamo calcolare tutto ciò usando un riferimento costante? Cioè, come possiamo far sì che la misurazione sia costante?

BO: Tutto ciò che ho descritto è facilmente accessibile. Per esempio, ci sono un certo numero di dipendenti in Index Exchange e un certo numero di uffici. L’edificio ha emissioni abbastanza precise, ogni piano produce una certa quantità di emissioni che si ripete per tutti e 80 i piani. Potremmo inserire queste informazioni in un foglio di calcolo. La complessità arriva quando ogni richiesta di annuncio passa a 40 partner DSP. Ora ci serve conoscere i loro dati. Non è che non si possa ottenere questa informazione, è solo che ora dobbiamo coinvolgere The Trade Desk, Google, Amazon. Ma aspetta un attimo, Amazon? Non è detto che loro sappiano la risposta. Non c’è una risposta semplice, pensa a tutto quello che fa Amazon. Ora devono incaricare qualcuno per capire quale parte riguarda i publisher e quale le inserzioni sponsorizzate. È un problema a catena: ognuno deve richiedere dati ai propri fornitori. Probabilmente tutto gira su Amazon Web Services. Quindi, AWS… questa è la sfida.

Scope3 ad esempio, cerca di modellare l’intero ecosistema, il che è estremamente complesso. Perciò, facciamo delle ipotesi, documentandole in open source. Ma la cosa interessante è che questo metodo è applicabile a quasi tutti gli ambiti dei media digitali. La vera domanda è fino a che punto ci si spinge, quanto sia necessario essere precisi in ogni dettaglio. Ma più ci addentriamo nei dettagli, meno è necessario che ogni dato sia perfetto. Credo che le stime stiano diventando sempre più precise man mano che il settore comprende meglio questa complessa supply chain.

LG: Sì, quello che prima era solo indicativo sta diventando qualcosa di più concreto e attuabile. Nei gruppi di lavoro sulla sostenibilità e nei comitati di cui facciamo parte, parliamo spesso di “progresso rispetto alla perfezione”, specialmente in un contesto che è ancora agli inizi e sta guadagnando slancio. Siamo tutti coinvolti in questo percorso insieme e sappiamo che siamo solo all’inizio. Qual è il tuo parere riguardo alle azioni davvero impattanti rispetto a quelle puramente performative, quando si parla di aziende e dei diversi tipi di iniziative al loro interno?

BO: Ci sono due elementi potenzialmente problematici, non solo per il nostro settore, ma per qualsiasi settore. In altre parole, parliamo di ciò che non genera un impatto. In primo luogo, c’è l’idea di dover attendere uno standard perfetto prima di muoversi. Questo è estremamente rischioso. Ci sono molte cose che sappiamo di poter fare già oggi, e che sono chiaramente positive per l’ambiente. Un esempio banale: avere mille rivenditori per ogni annuncio rispetto a 10.

10 sono sicuramente migliori di mille. È 100 volte meglio, 80 volte meglio o 120 volte meglio? Non importa. È evidente che ridurre la complessità delle supply path porta a un’impronta più bassa, e nessuno lo mette in dubbio. Tuttavia, se stai aspettando che qualcuno venga a dirti un numero preciso, come se avesse contato ogni singolo atomo di CO2 nel mondo, allora è troppo tardi. Questo è un aspetto che mi preoccupa.

L’altro elemento che mi preoccupa è il tema degli obiettivi. Le aziende affermano di voler ridurre le loro emissioni, l’ho letto proprio ieri, dicendo che ridurranno le loro emissioni del 20% entro il 2030. Siamo in un mondo digitale, non abbiamo fabbriche e non abbiamo bisogno di gasdotti per l’idrogeno. Perché non dovrebbero arrivare a quasi zero entro il 2030? Un’azienda ha detto: “Abbiamo ridotto le nostre emissioni del 96% rispetto al 2018”, e quindi? Era forse perché eravate molto inefficienti nel 2018? Perché dovrebbe interessarci? La questione è che, anche se sono miliardi di tonnellate in meno rispetto a prima, rimane un problema enorme.

Dobbiamo chiederci quale possa essere una riduzione ragionevole che possiamo raggiungere, basandoci su ciò che sappiamo e su ciò che possiamo effettivamente realizzare, tenendo conto del nostro business.

Infine, voglio sottolineare che ciò che consideriamo impattante deve allinearsi con le esigenze aziendali. Marc Pritchard durante l’evento a Cannes ha detto: “La nostra missione in Procter & Gamble è crescere e distinguerci nelle nostre categorie nel modo più sostenibile possibile”. Quindi, se la sostenibilità è secondaria, significa che non stanno dando il massimo? Certo che no. Il vero punto è che se affermiamo che saremo sostenibili a scapito della crescita e della leadership di settore, non risolveremo i problemi di nessuno. Infatti, i concorrenti meno sostenibili potrebbero avere un vantaggio. Dobbiamo tenere a mente che questo non è l’obiettivo primario del business. L’obiettivo è crescere, creare prodotti eccellenti, soddisfare i nostri clienti e farlo nel modo più sostenibile possibile. Anche nel settore dei media, condividiamo questa visione. Non comprometteremo la qualità o l’efficacia per cercare di essere sostenibili. Ci impegneremo a essere il più sostenibili possibile, garantendo risultati per i nostri clienti.

LG: Non ho niente da aggiungere, penso sia tutto molto chiaro. Come a dire che la sostenibilità dovrebbe diventare parte integrante del proprio business, come un vero e proprio motore di crescita. Ultima domanda: quali step pratici, suggerimenti e azioni dovrebbero adottare ora tutti nella supply chain? E come possono le aziende misurare i propri progressi?

BO: Beh, la misurazione è piuttosto diretta. Noi di Scope3 abbiamo una solida base per chi opera nel settore del programmatic advertising. Se siete curiosi di scoprire i vostri numeri, saremo felici di aiutarvi a capire dove vi posizionate e come vi confrontate con gli altri. È un ottimo punto di partenza. Se siete un brand o un inserzionista e volete sapere come vi posizionate, possiamo supportarvi facilmente, sia direttamente che attraverso molti dei nostri partner, come agenzie e partner per la sicurezza del brand. Abbiamo un sacco di professionisti pronti ad assistervi nel raccogliere queste informazioni.

È fondamentale sapere come vi posizionate e non restare in attesa. Ogni volta che analizziamo la situazione, scopriamo che ci sono molte azioni ovvie da intraprendere. Ci sono rivenditori che non portano valore alla vostra supply chain e media partner che potrebbero adottare semplici misure per ridurre la loro impronta di carbonio. Identificando il vostro punto di partenza, potrete scoprire i punti critici e iniziare ad agire. E tutto questo può essere fatto in un modo che è vantaggioso per i ricavi e per i risultati. Finora non abbiamo mai trovato un caso in cui ciò non fosse possibile. Magari tra cinque anni saremo così ottimizzati da trovare più difficoltà, ma per ora è piuttosto semplice. Il mio consiglio è di collaborare con partner come Index Exchange, che possono davvero aiutarvi a risolvere i problemi, quindi investite il più possibile con partner validi. Questo non solo avvantaggia voi e la vostra attività, ma dimostra anche all’intero settore che le aziende più sostenibili sono anche le più redditizie ed efficaci. È un cambiamento sistemico. Più sostenibilità significa un futuro migliore e questo può davvero trasformare il mondo.

LG: Esatto, è un approccio che fa bene al business e alle operazioni aziendali.

BO: E migliora anche la vita del consumatore. Se, come consumatore, scegli di acquistare prodotti rinnovabili, quelle aziende prospereranno. Il messaggio per il loro CEO è chiaro: le scarpe sostenibili sono state un successo, e voglio crearne ancora. I concorrenti, durante le riunioni, capiranno che serve una strategia di sostenibilità. Questo sta accadendo proprio ora nel nostro settore. Ci sono persone che pensavano che la sostenibilità fosse solo una moda. In realtà, non è così. Abbiamo bisogno di una strategia seria per conquistare quote di mercato dai nostri concorrenti.

LG: Brian, grazie mille per essere stato qui con noi. Ti siamo davvero grati e ci vediamo alla prossima.

BO: Grazie.

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